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mercoledì 28 febbraio 2007

Africa in pista

La settimana scorsa abbiamo assistito alla presentazione dell’ultimo libro di Jean Leonard Touadì, giornalista e scrittore congolese che ha lavorato in rai (la bellissima trasmissione “un mondo a colori”) e attualmente fa l’assessore alle politiche giovanili nientemeno che nel comune di Roma, insieme al suo amico Walter Veltroni. [in corsivo citazioni o parole usate dall’autore nella presentazione o nel libro stesso]

Ecco alcuni concetti espressi quella sera, così come li ricordo; sarò più preciso dopo aver terminato la lettura del libro:

- l’Africa (subsahariana) è sottosviluppata, in ritardo rispetto a altri paesi che si stanno pian piano risollevando (paesi sudamericani in ripresa, per non parlare di cina e india in piena espansione). Il peso economico del continente africano è passato dal 3% del 1970 all’1% del 2000. Se l’intero continente scomparisse dalle mappe geografiche nessuno se ne accorgerebbe (certamente il mibtel non subirebbe grossi scossoni!)

- C’è chi sostiene più o meno apertamente che questa situazione è dovuta ad una congenita incapacità degli africani di organizzarsi, svilupparsi, crescere. Un tale pensiero vagamente razzista, che può avere anche origini “storiche” (gli schiavi prelevati con la forza dai loro paesi e costretti a lavorare per i padroni bianchi probabilmente non dimostravano grande entusiasmo e solerzia nell’eseguire gli ordini), ha di recente ripreso forza in seguito al sostegno avuto nientemeno che da una sociologa camerunese (Axel Kabou, ‘E se l’Africa rifiutasse lo sviluppo?’)

- Touadì sostiene che le cause siano ben altre! Dal ‘500, da quando cioè gli europei hanno iniziato ad interessarsi all’Africa, non c’è più stata pace per il continente: deportazione degli schiavi, colonizzazione politica ed economica, appropriazione indebita e selvaggia delle risorse naturali.

- Uno degli effetti di tali sconvolgimenti viene spiegato bene con due brutte parole “intronizzazione dell’inferiorizzazione”; il senso di inferiorità rispetto all’uomo bianco, pur con i distinguo del caso, è forte negli africani e devastante per il loro sviluppo: la gente aspetta l’intervento e l’aiuto degli europei e non è stimolata ad arrangiarsi

- La Cooperazione: nota dolente! Un aiuto che arriva dall’alto non fa che alimentare il circolo vizioso sopra descritto. Inoltre il messaggio che giunge è assolutamente incomprensibile e destabilizzante per la gente: con una mano l’europa (non voglio qui parlare della politica estera economica degli USA, meglio non aprire un vergognoso capitolo, limitiamoci all’europa che per per il momento basta e avanza) arraffa risorse – un esempio per tutti i diamanti, vende armi, arma guerriglieri, controlla governi; con l’altra offre aiuto e sostegno economico. E’ come se dei piromani andassero ad appiccare il fuoco e poi persone provenienti dallo stesso posto, amici, parenti e in alcuni casi i piromani stessi andassero a fare i pompieri, a tentare di spegnere il fuoco. Con risorse infinitamente inferiori a quelle spese per incendiare. Allora uno si chiede (almeno io me lo chiedo da qualche anno): ma non sarebbe meglio che piromani e pompieri, petrolieri e cooperanti, commercianti di armi e flying doctors, banche mondiali, fondi monetari internazionale, alti commissariati delle nazioni unite e ONG prendessero le loro valige e se ne tornassero a casa? E lasciassero che l’Africa cresca e si sviluppi con i suoi tempi e i suoi modi? La mia risposta è sì, e direi anche quella di Touadì, dal momento che auspica una moratoria di 6, 10 anni della cooperazione internazionale.

- Una posizione così dura, che ha provocato anche dei malumori tra il pubblico, ovviamente è più che altro una provocazione per focalizzare l’attenzione su due aspetti in particolare:

1 l’atteggiamento del cooperante deve essere soprattutto e prima di tutto quello di ascolto. E condivisione. E scambio reciproco. Per co-operare, operare insieme, occorre innanzitutto imparare a conoscersi per capire le vere esigenze di chi ci sta di fronte;

2 pur riconoscendo la vitale importanza dell’aiuto immediato a popolazioni talvolta disperate (come negare l’importanza di aver salvato un bambino in più dalla morte per malnutrizione – per fame, detto più brutalmente – anche se i soldi provengono dalla donazione di un’azienda che produce armi e vuole rinnovare la sua immagine, o da un telespettatore che tra un grande fratello e un tg2 costume e società vede la pubblicità della ong tal dei tali e decide di donare un euro tramite sms – servizio gentilmente offerto da vodafone), tuttavia chi vuole veramente cambiare le cose dovrebbe cercare da qui, di premere perché certi meccanismi vengano interrotti, certe catene spezzate. Come? Mi vengono in mente, ad esempio: il boicottaggio, il sostegno al commercio equo e solidale, il turismo responsabile e, perché no, il voto alle elezioni, per quello che vale! Forse però prima di tutto dovrebbe esserci informazione, scambio culturale, conoscenza reciproca...

- Ancora: l’Africa ha una storia, una cultura ricchissima; una vitalità, una spiritualità immense. Alla nostra civiltà basata sull’avere, sul dare e ricevere, l’Africa contrappone una società basata sull’essere, sulle relazioni umane. In molte lingue africane non esiste il verbo avere, si usa l’espressione ‘stare con’ (sto con la macchina, sto con i vestiti..).

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